L’Eco dei social e le legioni d’imbecilli

È giunta l’ora di utilizzare il mio sfogatoio social

Giovanni Balsamo
3 min readJun 30, 2015

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I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. Ma è normale: capita in tutte le comunità numerose. Nei gruppi con più di cinquanta persone quelli che si espongono di più sono sempre gli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità.

UMBERTO ECO

Ora che Umberto Eco mi ha aperto gli occhi sul fatto che la mia epoca sia popolata da legioni d’imbecilli, mi sento alquanto disorientato. Com’è possibile che queste orde barbariche di pseudo tuttologi abbiano conquistato il diritto di parola e degli spazi pubblici per esercitarlo senza che nessuno li abbia messi a tacere?

Chi ha potuto concedere al vulgus impetuoso e istintivo lo stesso diritto di parola di un premio Nobel? Cosa ha fatto sì che lo scemo del villaggio potesse di diventare portatore di verità?

Le domande che mi sono appena posto sono ovviamente delle semplici provocazioni rivolte ad Umberto Eco, il quale dopo aver ricevuto la laurea honoris causa, udite udite, in Comunicazione e Cultura dei media nello stesso ateneo in cui nel 1954 conseguì una laurea in Filosofia (Università di Torino), ha trovato il modo migliore per provare la veridicità di una delle 365 pillole de I pensieri di Bellavista di Luciano De Crescenzo:

Quello che dà un po’ fastidio agli intellettuali è la realtà

La nostra è una realtà complessa, difficile da decifrare e per questo anche da affrontare, ma di certo è una realtà in cui proliferano idee, informazioni e opinioni. Attraverso il social web è possibile soddisfare due delle necessità primarie per lo spirito umano: comunicare ed interagire. Lo scettico Umberto Eco, quando parla del “dramma di Internet”, condanna l’istanza egualitaria che esso porta con sé, perché prodromo del caos e della deriva informativa oltre che culturale.

Tuttavia le cose possono essere viste sotto una luce diversa. Il nostro presente non tollera fortezze inespugnabili in cui custodire la verità, ma fa sì che tale verità venga difesa in ogni anfratto, soprattutto da chi si definisce intellettuale. È finito il tempo dei simposi in cui un filosofo si misurava solo con i suoi affini. Ora, chi vuole afferrare lo spirito del nostro tempo (Zeitgeist) deve mettersi in gioco e navigare in un mare procelloso e infestato da corsari, quella massa indistinta che un tempo poteva solo ambire al rango di spettatori e lettori.

La nostra epoca ha trasformato la lectio magistralis in un dibattito acceso, dove non esistono né cattedre né banchi per delimitare il confine tra un’opinione di valore e un’opinione che non ha ragione d’esistere. La laudatio, tanto amata da Umberto Eco e dagli intellettuali retrò, ha ceduto il passo ad una presa di distanza quasi preventiva, che abbatte la presunzione e le convinzioni di qualsiasi interlocutore potenziale.

Sembra quasi di essere tornati a respirare l’aria dell’Atene della metà del V secolo a.C., una città in cui vigeva la relatività del sapere: nessuno allora poteva credere di possedere la verità certa e quindi tutti erano portatori di conoscenze opinabili. Qui però il centro del dibattito non è il sapere nella sua ultima essenza, bensì la libertà di esprimere semplici opinioni, tutte ugualmente discutibili e tutte parimenti dignitose.

L’intellettuale di oggi deve imparare a fare sua la follia del funambolo: accettare il rischio della caduta per trovare il giusto equilibrio. Come il funambolo sperimenta il senso della vita nel suo estremo, là dove il possibile lambisce l’impossibile, così l’intellettuale deve mettersi in gioco e sperimentare una sana dialettica nel marasma delle discussioni che nascono e periscono all’interno della platea democratica del social web.

In fondo, non si può produrre pensiero e portare un valore aggiunto nella cultura digitale, se prima non si accetta di conoscere e di confrontarsi con il lato “imbecille” e oscuro della forza (dei social network).

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